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L’interazione tra politica monetaria e stabilità finanziaria nell’area dell’euro

Intervento di apertura di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione della Conference on Financial Stability (prima edizione) organizzata dal Banco de España e dal Centro de Estudios Monetarios y Financieros, Madrid, 24 maggio 2017

Introduzione

Stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria sono intrinsecamente connesse. Tendono a rafforzarsi a vicenda e nel lungo periodo ciascuna rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il realizzarsi dell’altra. Come ha messo in luce la crisi, i periodi di accentuata turbolenza finanziaria possono compromettere il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Allo stesso modo, in passato il venir meno della stabilità dei prezzi (ovvero periodi di deflazione o iperinflazione) è stato anche accompagnato da fasi di instabilità finanziaria.

Queste interazioni sono chiaramente emerse durante la crisi nell’area dell’euro. Gli effetti combinati della crisi finanziaria e del debito sovrano hanno dato luogo a un prolungato periodo di bassa crescita e bassa inflazione. La gravità della recessione ha contribuito a sua volta a episodi di turbolenza finanziaria. Nel 2014 aveva già lasciato il segno creando una situazione molto complessa in termini sia di stabilità dei prezzi sia di stabilità finanziaria nell’area dell’euro. La risposta sul piano delle politiche ha quindi comportato un’azione risoluta mirata a entrambi gli ambiti.

La BCE ha adottato una serie di misure non convenzionali allo scopo di rafforzare la trasmissione della politica monetaria e assicurare l’assolvimento del proprio mandato. Importanti cambiamenti sono stati anche apportati al quadro delle politiche per la stabilità finanziaria nell’area dell’euro. Insieme, questi interventi hanno contribuito a stimolare e a sostenere la ripresa economica, limitando al tempo stesso i possibili effetti collaterali di politiche non convenzionali. Ci hanno permesso di attraversare una fase più prolungata di bassi tassi di interesse senza ripercussioni avverse significative per la stabilità finanziaria.

La risposta delle politiche alla crisi

Nell’area dell’euro la crisi è stata caratterizzata in ampia misura da un circolo vizioso tra il lato finanziario e il lato reale dell’economia. Nelle prime fasi della crisi abbiamo assistito a gravi disfunzioni nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria in alcune regioni dell’area dell’euro, con la frammentazione del mercato interbancario lungo i confini nazionali. In seguito, con il peggioramento della situazione economica, i settori bancari nazionali di diversi paesi hanno registrato un brusco incremento dei crediti deteriorati e, in alcuni, le condizioni macroeconomiche hanno creato un forte incentivo a ridurre il grado di leva finanziaria ridimensionando l’attività di prestito.

La BCE ha adottato una serie di misure per rispondere alla frammentazione finanziaria all’interno dell’area dell’euro. Tuttavia, agli inizi del 2014 l’erogazione del credito bancario all’economia reale si era prosciugata, registrando nel primo trimestre un decremento dell’1,7% l’anno. L’area dell’euro si è ritrovata in un circolo vizioso: con l’inasprirsi dei criteri di concessione del credito, l’economia si deteriorava e il rischio percepito aumentava, dando luogo a un ulteriore inasprimento dei criteri di concessione. Al tempo le prospettive economiche risentivano di un rischio di ulteriore recessione e potenzialmente persino di deflazione: una combinazione di fattori che avrebbe probabilmente dato luogo a esiti peggiori per la stabilità finanziaria.

Di conseguenza, nel 2014 e anche in seguito la BCE è intervenuta con ulteriori azioni risolute per contrastare queste forze e assolvere il proprio mandato di stabilità dei prezzi. Abbiamo introdotto una serie di misure non convenzionali, fra cui i tassi negativi sui depositi presso la banca centrale, le operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (OMRLT) e il programma ampliato di acquisto di attività finanziarie. Queste misure (il nostro “pacchetto di allentamento creditizio”) avevano lo scopo di contrastare le disfunzioni del meccanismo di trasmissione causate dalla riduzione della leva finanziaria da parte delle banche, assicurando la trasmissione omogenea delle nostre decisioni di politica monetaria in tutti i paesi dell’area dell’euro e lungo la curva dei rendimenti.

Nel momento in cui venivano messe in campo queste misure, si verificavano tuttavia due importanti modifiche del quadro istituzionale e normativo con profonde implicazioni per la stabilità finanziaria. Un sistema finanziario più resistente agli shock rafforza, a sua volta, la capacità della politica monetaria di conseguire il proprio obiettivo di stabilità dei prezzi.

In primo luogo, nel 2014 entrava in vigore il regolamento sul Meccanismo di vigilanza unico (MVU), che affida alla BCE la competenza della vigilanza diretta degli enti creditizi significativi nell’area dell’euro. Il sistema finanziario ne usciva più forte rispetto al 2014, con coefficienti patrimoniali più elevati e un minore grado di leva finanziaria. Di fatto, uno dei primi passi della vigilanza bancaria europea consisteva in un “controllo sullo stato di salute”, ovvero una valutazione approfondita dei bilanci bancari. Il solo annuncio della valutazione approfondita ha incoraggiato le banche ad anticipare la riduzione del grado di leva finanziaria e a rafforzare i bilanci di oltre 200 miliardi di euro prima della pubblicazione dei risultati.

La seconda importante modifica del quadro normativo è stata apportata dal regolamento sull’MVU, che attribuisce alla BCE compiti specifici in ambito macroprudenziale. Le misure macroprudenziali sono ormai una competenza condivisa tra le autorità nazionali, che hanno il potere di attuarle, e la BCE, che ha la facoltà di renderle più rigide rispetto alle disposizioni giuridiche dell’UE contenute nella quarta direttiva e nel regolamento sui requisiti patrimoniali.

La BCE è quindi in grado di contrastare qualsiasi tendenza all’inerzia qualora le autorità nazionali non agiscano in modo adeguato e tempestivo per dare attuazione alle misure macroprudenziali. Può farsi promotrice di analisi degli effetti transfrontalieri, contribuendo a evitare fenomeni di arbitraggio transfrontaliero ed effetti di propagazione attraverso grandi banche interconnesse. Può inoltre promuovere una base analitica comune per la condivisione di informazioni e l’adozione di migliori prassi, contribuendo alla coerenza e alla coordinazione delle politiche macroprudenziali nell’intera area dell’MVU[1].

Questo nuovo quadro di riferimento sostiene l’attuazione della nostra politica monetaria e contribuisce anche a rafforzare la capacità di tenuta del sistema finanziario. I cicli finanziari ed economici potrebbero, potenzialmente, non essere in sincrono, con la conseguenza che gli squilibri finanziari potrebbero aumentare in un contesto caratterizzato da un’inflazione relativamente contenuta. In tale contesto, il ricorso alla politica monetaria per contrastare gli squilibri finanziari potrebbe non essere ottimale, in quanto potrebbe dare luogo a sostanziali deviazioni del prodotto aggregato e dell’inflazione rispetto ai livelli auspicabili. In una situazione simile la politica macroprudenziale, fronteggiando gli squilibri finanziari, può essere di complemento all’obiettivo di lungo periodo della politica monetaria[2].

Le misure non convenzionali di politica monetaria e i miglioramenti all’architettura istituzionale e normativa hanno potenziato la capacità del sistema bancario dell’area dell’euro di trasmettere a famiglie e imprese in tutta l’unione monetaria lo stimolo impartito al credito dalla BCE e di assicurare l’erogazione di un finanziamento sufficiente per sostenere la ripresa, fenomeno a cui abbiamo precisamente assistito. Nel primo trimestre del 2017 i tassi di crescita sui dodici mesi dei prestiti alle famiglie e alle società non finanziarie dell’area dell’euro si collocavano rispettivamente al 2,6% e all’1,6% (i primi in risalita dal livello minimo del -0,6% osservato nel secondo trimestre del 2014 e i secondi dal livello minimo del -3,6% del terzo trimestre del 2013). I tassi sui prestiti bancari applicati sia alle imprese che alle famiglie si sono ridotti di circa 110 punti base negli ultimi tre anni e si collocano ora ai minimi storici.

Di conseguenza, l’area dell’euro sta attraversando una ripresa sempre più solida, sospinta in ampia misura da un circolo virtuoso di occupazione e consumi, malgrado il perdurare di moderate pressioni inflazionistiche di fondo. La convergenza delle condizioni creditizie fra i paesi ha altresì contribuito a rendere l’espansione più generalizzata nei diversi settori e paesi. Nell’area dell’euro il PIL cresce al momento a un ritmo dell’1,7% e in base alle indagini dovrebbe continuare a mostrare tenuta nei prossimi trimestri[3].

Le sfide per la stabilità finanziaria nelle circostanze attuali

Nel contesto dell’attuale ripresa e della sua capacità di tenuta, in Europa sono mutati i toni del dibattito intorno alla stabilità finanziaria. Alcuni hanno espresso timori riguardo a effetti collaterali indesiderati delle misure di politica monetaria sulla stabilità finanziaria. Nulla di nuovo per accademici e banchieri centrali: la politica monetaria ha sempre effetti collaterali. Tuttavia il ricorso delle banche centrali a misure non convenzionali ha generato maggiore consapevolezza al riguardo.

Naturalmente, le misure di politica monetaria adottate negli ultimi anni possono avere effetti positivi sulla stabilità finanziaria. Tassi di interesse più bassi lungo la curva riducono i costi di servizio del debito per famiglie e imprese. Inoltre, favorendo la ripresa e la conseguente minore disoccupazione, la politica monetaria sostiene gli introiti di famiglie e imprese; in questo modo diminuiscono le probabilità che queste non possano adempiere alle proprie obbligazioni finanziarie, con ricadute positive per la redditività delle banche[4]. Le banche beneficiano anche delle plusvalenze sulle attività detenute e della riduzione a breve termine dei costi di finanziamento complessivi. Infine, accedendo alle OMRLT II dell’Eurosistema, si possono finanziare a tassi altrettanto bassi di quelli sui depositi presso la banca centrale, a condizione che dimostrino di essere sufficientemente attive nell’erogazione di prestiti.

Tuttavia il contesto attuale suggerisce anche la necessità di seguire da vicino gli sviluppi in tre aree: l’effetto sull’assunzione dei rischi nell’ambito dell’attività di prestito delle banche, l’impatto sulla redditività delle banche e l’impatto sugli investitori istituzionali.

Il canale dell’assunzione dei rischi che incide sulla trasmissione della politica monetaria riguarda il fatto che variazioni dei tassi di interesse si possono anche ripercuotere sugli incentivi delle banche a sostenere rischi[5]. In particolare, bassi tassi di interesse possono spingere alla ricerca di maggiori rendimenti, incoraggiando le banche ad allentare i propri criteri di concessione del credito, con un conseguente incremento sia del volume sia della rischiosità media dei prestiti erogati[6]. Se l’espansione del credito e l’assunzione di rischi aggiuntivi diventano eccessive, ciò potrebbe determinare l’accumularsi di squilibri e mettere a repentaglio la stabilità del sistema finanziario.

Desta particolari timori lo sviluppo di bolle alimentate dal credito, che in passato si sono dimostrate specialmente dannose per la stabilità finanziaria[7]. Queste bolle, che affliggono tipicamente i mercati immobiliari, sono caratterizzate da una spirale avversa tra prezzo delle attività ed espansione del credito. Una crescita positiva del valore di mercato delle proprietà immobiliari sostiene la crescita del credito, che al tempo stesso contribuisce a gonfiare il valore di tali proprietà. Allo scoppiare della bolla che ne deriva, le garanzie a fronte del prestito perdono valore, compromettendo la capacità di concedere prestiti dei creditori e di assumere prestiti dei prenditori.

La seconda sfida che emerge dal contesto attuale è che una riduzione del differenziale tra i tassi a breve e a lungo termine può comprimere i margini netti da interessi delle banche e quindi esercitare pressioni sulla loro redditività. Data la trasformazione delle scadenze effettuata dalle banche assumendo prestiti a breve e concedendo credito a lungo termine, ai fini della redditività svolgono un ruolo sia l’inclinazione sia il livello della curva dei rendimenti. Ciò potrebbe, a sua volta, comportare una riduzione del capitale accumulato tramite utili non distribuiti e rendere più fragili le banche.

Infine, il protrarsi di una situazione di bassi tassi di interesse pone sotto pressione anche la redditività delle istituzioni finanziarie che forniscono garanzie di rendimento a lungo termine, come il ramo delle assicurazioni sulla vita o i fondi pensione. Per conseguire i propri ambiziosi obiettivi di rendimento, questi soggetti potrebbero essere inclini a inseguire il rendimento assumendo rischi eccessivi.

Il monitoraggio dell’evoluzione della stabilità finanziaria

Secondo la nostra attuale valutazione, non emergono squilibri diffusi, ma permangono alcune aree localizzate su cui occorre continuare a mantenere uno stretto monitoraggio e un atteggiamento vigile.

In conformità con il nostro quadro istituzionale, la politica macroprudenziale è stata adeguatamente attiva nel mitigare l’accumularsi di rischi in queste aree localizzate. Per quanto concerne il settore bancario, le autorità sono pervenute a decisioni sull’individuazione delle istituzioni finanziarie globali e interne di rilevanza sistemica, alle quali è stato quindi richiesto di detenere riserve patrimoniali aggiuntive. Inoltre le autorità hanno assunto decisioni riguardo alla calibrazione del rischio sistemico e alle riserve di capitale anticicliche, nonché ai requisiti patrimoniali specifici per i settori immobiliare e dell’edilizia residenziale.

Quanto ai rischi assunti dalle banche, non riscontriamo evidenze dello sviluppo diffuso di bolle alimentate dal credito. Nell’ultimo trimestre del 2016, nell’area dell’euro i mutui bancari per l’acquisto di abitazioni sono aumentati di circa il 2,7% l’anno, molto al di sotto dei tassi di crescita, fino a 12%, registrati alla vigilia della crisi. Nello stesso trimestre i prezzi nominali degli immobili residenziali sono aumentati del 3,8% l’anno nell’area. Sebbene la dinamica dei prezzi degli immobili residenziali acquisisca slancio, le stime di valutazione suggeriscono che nell’insieme dell’area non vi siano segnali di squilibri in tali mercati[8].

Tuttavia, il panorama dell’area dell’euro è notevolmente eterogeneo; noi seguiamo da vicino i paesi con una più vigorosa dinamica del settore immobiliare. Teniamo sotto stretta osservazione anche l’evoluzione dei mercati degli immobili non residenziali, soprattutto laddove i prezzi del segmento primario si discostano dalle medie di lungo periodo[9]. Va anche notato che si tratta di un ambito in cui le autorità macroprudenziali nazionali sono già piuttosto attive; molti paesi dell’area dell’euro hanno introdotto misure prudenziali, ad esempio imponendo massimali al rapporto fra credito e valore della garanzia, per contrastare i rischi emergenti[10].

Vi sono inoltre pochi segnali di assunzione eccessiva di rischi nell’ambito dell’attività di prestito da parte delle banche a livello aggregato. Secondo l’indagine della BCE sul credito bancario nell’area dell’euro, le banche hanno certamente ridotto in media i tassi sui prestiti e allentato i criteri di concessione del credito sulla scia delle nostre misure di politica monetaria. La disponibilità di prestiti per le piccole e medie imprese è migliorata da ottobre 2014[11]. Un esame più approfondito dei fattori alla base delle variazioni dei criteri di concessione del credito rivela elementi interessanti. Un aumento del “rischio percepito” e una minore “tolleranza al rischio” hanno contribuito al brusco inasprimento dei criteri di concessione del credito negli anni successivi alla crisi. Tuttavia, mentre il “rischio percepito” dalle banche è diminuito dal 2014 in linea con le condizioni generali dell’economia e il complessivo recupero del flusso di crediti bancari, la “tolleranza al rischio” continua a essere frenata, e mostra persino un certo irrigidimento dal 2015.

Da questo si evince che le banche restano prudenti nelle loro decisioni sulla concessione del credito. Di fatto, dal 2003 risultano in media diminuite le probabilità complessive che le banche dell’area acconsentano all’erogazione di un prestito[12]. Tale evidenza trova riscontro nella composizione dei bilanci bancari, nei quali si osserva un calo generalizzato della probabilità di default per classe di esposizione e uno spostamento verso esposizioni creditizie meno rischiose rispetto agli ultimi anni[13].

A questo proposito svolge un ruolo importante la vigilanza microprudenziale. Ai sensi del regolamento sull’MVU, nel 2014 la BCE ha assunto la competenza della vigilanza sugli enti creditizi significativi dell’area dell’euro, che ha permesso di adottare un approccio più armonizzato nel campo della vigilanza. La vigilanza microprudenziale è in grado di mitigare l’assunzione di rischi eccessivi applicando misure specifiche per ente alle banche che investono prevalentemente in attività rischiose. I rischi a cui sono soggetti i singoli enti creditizi sono regolarmente valutati nel quadro del processo di revisione e valutazione prudenziale (supervisory review and evaluation process, SREP). In base agli esiti di questa analisi complessiva, i responsabili della vigilanza possono applicare requisiti patrimoniali e di liquidità aggiuntivi o altre misure mirate alle carenze specifiche delle banche.

Qual è la situazione generale della redditività del settore bancario? Certamente il rendimento del capitale proprio (return on equity, RoE), una misura spesso utilizzata della redditività, è attualmente inferiore rispetto al periodo pre-crisi. Nel 2016 il RoE aggregato si collocava 5%, rispetto a quasi il 20% nel 2006. Tuttavia il confronto può essere fuorviante per due ragioni. In primo luogo, i coefficienti patrimoniali delle banche, in particolare il capitale primario, sono più elevati e il grado di leva finanziaria complessivo è inferiore rispetto al periodo pre-crisi. Un maggiore grado di leva finanziaria può creare l’illusione di una maggiore redditività, ma come abbiamo visto durante la crisi si accompagna a un rischio più pronunciato di instabilità finanziaria. Il riassetto dei bilanci intrapreso dalle banche dopo la crisi ne ha ridotto il grado di leva finanziaria. La conseguente diminuzione del RoE delle banche rispetto agli anni precedenti la crisi va visto in prospettiva, ossia inquadrato in un processo di transizione verso una “nuova normalità” più sostenibile.

In secondo luogo, il corretto confronto è con lo scenario controfattuale di quella che sarebbe stata la redditività in assenza delle nostre misure. Come già menzionato, nel 2014 i timori di una nuova recessione e il rischio di deflazione hanno comportato in sé rischi per la stabilità finanziaria. Studi della BCE che tengono conto dell’effetto del miglioramento delle condizioni macroeconomiche e dei prezzi delle attività finanziarie risultanti dalla nostra azione di politica monetaria dimostrano che l’impatto complessivo delle nostre misure sulla redditività bancaria è stato positivo[14].

Vorrei anche sottolineare che per gran parte del settore finanziario vi sono ampi margini di miglioramento della redditività, se si intensificano gli sforzi per accrescere l’efficienza operativa attraverso un taglio organico dei costi: l’efficienza in termini di costi delle banche dell’area dell’euro non migliora dal 2010 e, in base agli indicatori standard, risulta al di sotto di molti altri omologhi internazionali[15].

Quali sono infine gli effetti per gli investitori istituzionali? Come emerge dalla Financial Stability Review, che abbiamo pubblicato oggi, negli ultimi anni alcuni investitori istituzionali, fra cui compagnie di assicurazione, fondi pensione e fondi di investimento, hanno effettuato una riallocazione dei portafogli a favore di titoli di debito con merito di credito meno elevato[16]. Simili andamenti vanno seguiti da vicino. Per mitigarne i rischi, questi soggetti potrebbero avere adeguato i propri modelli imprenditoriali, continuando ad esempio a ridurre il ricorso a schemi di rendimento garantito[17].

Conclusioni

Mi accingo a concludere.

Il contesto macroeconomico è in miglioramento. Le misure di politica monetaria messe in atto negli ultimi anni sono risultate efficaci nel sostenere una ripresa che mostra capacità di tenuta ed è sempre più generalizzata nei diversi paesi e settori. La ripresa contribuisce a sua volta a una maggiore tenuta del settore finanziario.

L’ampia portata delle nostre misure di politica monetaria e la durata della loro applicazione sono necessarie per il conseguimento del nostro obiettivo di stabilità dei prezzi. Questi assetti sono possibili grazie alla maggiore tenuta del sistema finanziario rispetto al passato. Disponiamo oggi di un quadro macroprudenziale adeguato (e attivo) per fronteggiare potenziali ricadute negative. Questo, insieme a banche più forti e una vigilanza più forte, ci ha permesso di attraversare una fase più prolungata di bassi tassi di interesse senza l’accumularsi di rischi per la stabilità finanziaria. Restiamo comunque vigili.

Quando abbiamo introdotto strumenti non convenzionali di politica monetaria per assicurare il rientro dell’inflazione verso il nostro obiettivo, eravamo consapevoli che questi nuovi strumenti avrebbero potuto causare effetti collaterali in certa misura più pronunciati rispetto agli strumenti convenzionali. Gli effetti collaterali sono rimasti contenuti, ma ne abbiamo tenuto conto nella formulazione della nostra politica, nel senso che cerchiamo di ridurli al minimo senza pregiudicare la possibilità di conseguire il nostro obiettivo.

Ciò si riflette anche nella logica alla base delle nostre indicazioni prospettiche (forward guidance) sulla sequenza del ritiro delle azioni di stimolo della politica monetaria. Di fatto, come ho affermato nel mio intervento alla ECB Watchers’ Conference[18], in un’unione monetaria composta da più paesi con mercati finanziari segmentati, come l’area dell’euro, gli acquisti di attività sono inevitabilmente più difficili da calibrare, più complessi da attuare e più esposti al rischio di produrre effetti collaterali rispetto ad altri strumenti, inclusi tassi moderatamente negativi. I tassi negativi possono anche avere effetti indesiderati, che finora sono tuttavia rimasti limitati. Secondo la nostra attuale valutazione degli effetti collaterali, non vi sarebbe quindi ragione di deviare dalle indicazioni che abbiamo coerentemente fornito nelle dichiarazioni introduttive alle nostre conferenze stampa.

Più in generale, le azioni di politica monetaria da noi intraprese nel perseguimento del nostro mandato beneficeranno del completamento dell’unione bancaria, attraverso la creazione di un sistema europeo di assicurazione dei depositi, terzo pilastro dell’unione bancaria, nonché di un sostegno comune per il Fondo di risoluzione unico.

Inoltre, nel nostro percorso verso l’unione dei mercati dei capitali, che probabilmente accrescerà ancora di più l’importanza del rifinanziamento attraverso il mercato nell’area dell’euro, le autorità competenti in ambito nazionale e di UE dovrebbero essere dotate degli strumenti per fronteggiare i rischi generati dall’intermediazione finanziaria non bancaria[19].

  1. [1] Cfr. ad esempio Banca centrale europea (2016), Macroprudential Bulletin, numero 1 / 2016, capitolo 1 – “Topical issue: The ECB’s macroprudential policy framework”.

  2. [2] Cfr. ad esempio Hanson, S., A. Kashyap, e J. Stein, (2011), “A Macroprudential Approach to Financial Regulation”, Journal of Economic Perspectives, 25(1): 3-28.

  3. [3] Cfr. Draghi, M. (2017), “Monetary policy and the economic recovery in the euro area”, intervento in occasione della conferenza The ECB and Its Watchers XVIII, Francoforte sul Meno, 6 aprile.

  4. [4] Cfr. ad esempio Cœuré, B. (2016), “Assessing the implications of negative interest rates”, intervento presso il Yale Financial Crisis Forum, Yale School of Management, New Haven, 28 luglio.

  5. [5] Cfr. Borio, C. e H. Zhu, (2012), “Capital regulation, risk-taking and monetary policy: A missing link in the transmission mechanism?”, Journal of Financial Stability, 8(4): 236-251.

  6. [6] Per riscontri empirici, cfr. ad esempio Jiménez, G., Ongena, S., Peydró, J.-L., e Saurina, J., (2014), “Hazardous Times for Monetary Policy: What do Twenty-Three Million Bank Loans Say about the Effects of Monetary Policy on Credit Risk-Taking?”, Econometrica, 82(2), 463-505; Maddaloni, A., e Peydró, J.-L., (2011), “Bank Risk-Taking, Securitisation, Supervision and Low Interest Rates: Evidence from the Euro-area and the U.S. Lending Standards”, The Review of Financial Studies, 24(6), 2121-2165.

  7. [7] Cfr. ad esempio Reinhart, C., e Rogoff, K., (2009), “This Time Is Different”, Princeton University Press, oppure Schularick, M. e A. Taylor (2012), “Credit Booms Gone Bust: Monetary Policy, Leverage Cycles, and Financial Crises, 1870-2008”, American Economic Review, 102(2): 1029-61.

  8. [8] Cfr. Banca centrale europea, (2017), Financial Stability Review, maggio 2017.

  9. [9] Cfr. Banca centrale europea, (2017), Financial Stability Review, maggio 2017.

  10. [10] Cfr. ad esempio Constâncio, V. (2017), “Macroprudential policy in a changing financial system”, intervento alla seconda edizione della ECB Macroprudential Policy and Research Conference, Francoforte sul Meno, 11 maggio.

  11. [11] Cfr. Banca centrale europea (2016), Indagine sull’accesso delle imprese al finanziamento nell’area dell’euro per il periodo aprile-settembre 2016, novembre.

  12. [12] Cfr. Banca centrale europea (2016), Indagine sul credito bancario nell’area dell’euro per il primo trimestre del 2017, aprile.

  13. [13] Cfr. Banca centrale europea, (2017), Financial Stability Review, maggio 2017.

  14. [14] Cfr. Rostagno, M., Bindseil, U., Kamps, A., Lemke, W., Sugo, T. e T. Vlassopoulos, (2016), Breaking through the zero line: The ECB’s negative interest rate policy, Brookings Institution, Washington DC, 6 giugno. Presentazione reperibile sul sito Internet della Brookings Institution.

  15. [15] Banca centrale europea, (2017), Financial Stability Review, maggio 2017, capitolo 3.

  16. [16] Banca centrale europea, (2017), Financial Stability Review, maggio 2017, capitolo 3.

  17. [17] Cfr. rapporto finale della task force congiunta del Comitato tecnico consultivo del CERS, del Comitato scientifico consultivo del CERS e del Comitato per la stabilità finanziaria del SEBC, Macroprudential policy issues arising from low interest rates and structural changes in the EU financial system, novembre 2016.

  18. [18] Draghi (2017), op.cit.

  19. [19] Cfr. Banca centrale europea (2016), ECB contribution to the European Commission’s consultation on the review of the EU macroprudential policy framework, pubblicato il 12 dicembre.

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