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  • IL BLOG DELLA BCE

Dopo la crisi: le lezioni economiche della pandemia

Post di Fabio Panetta, Membro del Comitato esecutivo della BCE

27 luglio 2021

Con il consolidarsi della ripresa produttiva, cambieranno radicalmente le misure di cui l’Europa ha bisogno al fine di emergere più forte dalla crisi. Gli interventi a sostegno della congiuntura, in passato volti a limitare la caduta del reddito, dovranno essere orientati alla creazione di nuove fonti di guadagno; le misure finalizzate al mantenimento del potenziale di crescita dovranno lasciare il posto a programmi in grado di favorire la riallocazione delle risorse di capitale e di lavoro in favore dei settori con maggiori opportunità di sviluppo.

La possibilità di rilanciare l’economia dell’area dell’euro dipenderà dal modello di governance che adotteremo. Nei mesi scorsi, all’indomani della crisi le autorità europee sono intervenute con decisione, sospendendo le norme europee sugli aiuti di stato e in materia fiscale e introducendo nuovi, efficaci strumenti comuni di gestione delle crisi. La Banca Centrale Europea (BCE) ha adottato misure di natura straordinaria per consentire di assorbire lo shock determinato dalla pandemia e allentato i requisiti patrimoniali per le banche. Con l’uscita dalla crisi, dobbiamo ora scegliere tra il ritorno alle politiche economiche precedenti e la possibilità di adottare un nuovo sistema di governo dell’economia europea.

Durante la crisi finanziaria dello scorso decennio l’Europa adottò una combinazione di politiche macroeconomiche inadatta a gestire situazioni di una tale gravità; ciò contribuì a generare, rispetto ad altre maggiori economie, un ritardo di crescita che non siamo poi riusciti a recuperare. In quella fase la governance dell’Unione economica e monetaria (UEM) fu caratterizzata – con l’eccezione delle fasi di emergenza – dalla mancanza di un efficace coordinamento tra la politica fiscale e le altre componenti della politica economica.

I programmi di assistenza finanziaria allora attuati furono in più casi ispirati a criteri di rigida, controproducente condizionalità; furono disegnati guardando ai problemi dei singoli paesi, senza cercare di comprendere le implicazioni che essi avrebbero determinato per l’area dell’euro nel suo complesso.

Ne derivarono insuccessi e tensioni politiche. L’insufficiente coordinamento tra le diverse componenti della politica economica determinò un irrigidimento prematuro delle politiche di bilancio che finì per condizionare l’esito dei programmi di riforme strutturali, accentuando la seconda recessione dell’eurozona. La condizionalità posta alla base degli interventi provocò una inutile e dannosa divisone dell’Europa tra paesi creditori e debitori. Il risultato fu l’apertura di un solco economico e politico tra gli Stati Membri.

Durante l’ultima crisi l’Europa ha adottato un modello di gestione delle crisi assai diverso.

La pandemia e le conseguenti misure introdotte per contenerne gli effetti hanno provocato un forte shock negativo sia sulla domanda aggregata sia sulla capacità di offerta dell’economia europea, con effetti persistenti nel tempo. I processi di digitalizzazione e di automazione hanno registrato una accelerazione decisa, in grado di modificare in maniera radicale il sistema produttivo e il mercato del lavoro. Il paradigma economico europeo ha registrato tre importanti innovazioni.

Innanzi tutto, i nuovi strumenti comuni di intervento fiscale introdotti nell’Unione Europea (UE) al fine di garantire una ripresa economica rapida e diffusa sono stati esplicitamente concepiti con la consapevolezza che l’UE rappresenta assai più della semplice somma delle sue componenti. Essendo finanziato collettivamente, il programma NextGenerationEU (NGEU) ha ampliato i margini di intervento fiscale, al pari di quanto avviene in altre economie con il ricorso a misure di sostegno da parte del bilancio federale. Le analisi della BCE indicano che il pieno utilizzo dei fondi del programma NGEU innalzerebbe il rapporto tra investimenti pubblici e PIL nell’area dell’euro di quasi il 40 per cento entro il 2024; in alcuni paesi il rapporto potrebbe raddoppiare.

In secondo luogo, a livello europeo si è rafforzata la consapevolezza del fatto che i programmi di riforma possono essere attuati con maggiore efficacia in un’economia che cresce, in cui le risorse possono essere ridistribuite più agevolmente; è divenuta evidente l’esigenza di allineare le politiche di sostegno della domanda con interventi volti a stimolare il potenziale di offerta dell’economia.

La crisi dei debiti sovrani ha reso palese che l’austerità non paga. La crisi dei mesi scorsi ha inoltre chiarito che non è sufficiente stimolare la domanda per sfuggire alla trappola della bassa crescita: l’economia dovrà adattarsi al contesto economico creato dalla pandemia, ridistribuendo le risorse tra settori e imprese, lasciando spazi alle aziende più produttive e favorendo l’uscita dal mercato di quelle non redditizie. Il programma NGEU adotta questa ricetta economica, erogando sovvenzioni a fondo perduto volte ad accelerare la transizione ecologica e digitale a fronte di Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) in grado di stimolare la crescita e di modernizzare gli assetti giuridici e istituzionali, favorendo l’efficiente allocazione delle risorse.

La terza innovazione è di natura istituzionale, ossia l’impegno esplicito dei paesi dell’UE a modernizzare le proprie economie con il ricorso ai fondi europei, avviando investimenti in grado di autofinanziarsi grazie a guadagni di produttività e a ricadute positive sulla domanda. Una tale impostazione si fonda sulla consapevolezza dello stretto legame che unisce le economie europee. Ad esempio, la Commissione europea stima che paesi quali il Belgio, il Lussemburgo, l’Austria e persino la Germania otterranno gran parte dello stimolo impresso al PIL dal programma NGEU dall’incremento di domanda proveniente da altre parti dell’UE.

In autunno il riesame della governance economica europea permetterà di porre la ripresa su basi più solide, facendo leva sui tre cambiamenti di paradigma appena descritti. Ciò richiederà a sua volta nuovi ingredienti.

Innanzitutto, il nuovo “contratto sociale europeo” insito nel programma NGEU dovrà essere concretizzato mediante PNRR ambiziosi, da attuare con efficacia. Il programma NGEU si fonda su uno sforzo congiunto da parte delle autorità sia europee sia nazionali, bilanciandone con attenzione i rispettivi ruoli. Da un lato, le autorità europee rendono disponibili ingenti risorse comuni; dall’altro lato, gli Stati membri mettono in campo piani concreti, coerenti con le priorità dell’UE, al fine di porre rimedio alle proprie debolezze economiche e istituzionali. Se attuato con efficacia, il programma NGEU contribuirà a legittimare questo nuovo modello e il ricorso al debito dell’UE qualora in futuro una nuova crisi tornasse a minacciare l’efficacia delle politiche nazionali.

In secondo luogo, se da un lato i contributi a fondo perduto concessi dal programma NGEU risulteranno determinanti per gestire la trasformazione strutturale innescata dai processi di digitalizzazione e automazione, dall’altro lato gli strumenti di liquidità dell’UE sono poco utilizzati o poco idonei ad affrontare direttamente questa prova. I prestiti del programma NGEU possono essere impiegati per modernizzare l’economia, ma i fondi a disposizione rimangono in parte inutilizzati. Nel contempo, la liquidità offerta dallo strumento SURE e dal Meccanismo europeo di stabilità è ancora destinata ad affrontare le “sfide di ieri”; in particolare, a compensare la perdita di reddito e a finanziare la spesa sanitaria, problemi urgenti durante la crisi della sanità pubblica, da cui oggi stiamo uscendo. Questi strumenti potrebbero essere ampliati e rimodulati al fine di sostenere gli obiettivi della politica economica durante la ripresa, primo tra tutti quello di rafforzare il capitale umano mediante misure quali la formazione sul posto di lavoro e le politiche attive del lavoro. Con il consolidarsi della ripresa questi interventi contribuiranno ad alimentare la crescita dell’occupazione.

Nonostante gli avanzamenti registrati di recente, in Europa la capacità di intervento fiscale fa tuttora capo soprattutto alle politiche nazionali; la riforma di queste politiche costituisce pertanto il terzo ingrediente essenziale. Le regole di bilancio mirano a guidare i governi nella definizione delle politiche macroeconomiche in grado di contribuire alla sostenibilità delle finanze pubbliche. Dati i loro effetti sulla domanda sia diretti sia indiretti, tramite le aspettative, le regole di bilancio possono svolgere una funzione di stabilizzazione soltanto se sono anticicliche. Una riforma mirata dovrebbe quindi includere interventi sia congiunturali (volti ad assicurare una politica di bilancio anticiclica, in grado di stimolare una ripresa vigorosa), sia strutturali, diretti a rafforzare la sostenibilità del debito lungo le diverse fasi del ciclo economico.

Solo realizzando un volume adeguato di investimenti pubblici in ciascuna fase congiunturale, attuando con efficacia politiche di riforma strutturale, potremo innalzare la produttività e la crescita potenziale, ampliando le basi imponibili e garantendo il servizio del debito nel lungo periodo.

Se disegneremo le politiche economiche di domani tenendo conto delle lezioni apprese durante la pandemia, potremo emergere dalla crisi con un’economia più solida e una più stretta coesione politica e sociale. Il rinnovamento della governance dell’UEM che otterremmo in tal modo è nell’interesse di tutti gli Stati membri dell’UE.

Non dobbiamo sottovalutare l’importanza del programma NGEU per tutti i paesi: il suo successo ridefinirebbe gli strumenti economici dell’UE e rafforzerebbe il progetto europeo, a beneficio delle generazioni future.

Il presente post è stato pubblicato come editoriale il 27 luglio 2021 su Politico.eu.