Rappresentanza e regole di politica economica in una società che invecchia
Discorso di Lorenzo Bini Smaghi, Membro del Comitato esecutivo della BCEEumoniamaster – Alta Formazione Politico-IstituzionaleVilla Morghen, Firenze, 28 Settembre 2006
Il tema che vorrei affrontare oggi riguarda il modo in cui il processo di invecchiamento della popolazione nei paesi industriali incide sulla capacità delle istituzioni democratiche di rappresentare gli interessi dei cittadini. Il problema è all’ordine del giorno dei dibattiti di politica economica in molti paesi, inclusa l’Italia.
In linea generale, il problema nasce dal fatto che alcune decisioni di politica economica, prese su base democratica - e dunque tenendo conto degli interessi specifici prevalenti in quel momento - possono successivamente rivelarsi non più rappresentative dell’interesse generale, perché nel frattempo sono cambiati alcuni parametri fondamentali in base ai quali era stata presa la decisione iniziale. Questo problema è ben noto nella letteratura economica che analizza decisioni in situazioni di incertezza e di informazione imperfetta.[1] La soluzione al problema dell’incoerenza temporale della politica economica ottimale consiste nell’adottare regole o istituzioni che limitano, almeno in parte, la discrezionalità delle decisioni.
Questo tipo di soluzione non è diverso da quello adottato nelle democrazie per tutelare le minoranze, o la minoranza. L’obbiettivo è di evitare che alcune categorie di cittadini vengano penalizzate in modo sistematico dalle decisioni della maggioranza (la cosiddetta dittatura della maggioranza). La legge costituzionale ha come fine proprio di evitare cambiamenti troppo facili delle regole del gioco democratico, che potrebbero avvantaggiare in modo sistematico solo alcune parti della società.
Vorrei esaminare tre strumenti di politica economica che possono essere usati anche attraverso decisioni prese da istituzioni democraticamente rappresentative, per ottenere dei benefici di breve periodo a scapito delle generazioni future, che non sono ancora rappresentate nelle istituzioni: la tassa dell’inflazione, il debito pubblico, e i trattamenti pensionistici. L’uso di questi strumenti pone un problema di rappresentatività di chi viene penalizzato, cioè della generazione successiva.
Questi tre strumenti hanno in comune alcuni elementi.
Innanzi tutto, questi strumenti producono nell’immediato effetti di segno opposto a quelli di medio o lungo termine. Questi strumenti vengono dunque generalmente usati per avvantaggiare la generazione contemporanea, i cui interessi sono rappresentati nelle istituzioni democratiche, e penalizzare la generazione successiva, che non è invece rappresentata. Inoltre, questi strumenti non sono facilmente reversibili. Una volta che strumenti come l’inflazione, il debito pubblico o i trattamenti pensionistici vengono usati in modo distorsivo, non è facile tornare indietro e adottare misure di senso opposto, che cancellino gli effetti iniziali o risarciscano, almeno in parte, chi è stato danneggiato. Chi trae beneficio da misure distorsive tende infatti a considerarle “diritti acquisiti”, anche se sono stati acquisiti senza tener conto degli interessi di chi non era ancora rappresentato nelle istituzioni democratiche e che è destinato a pagarne il costo. Infine, questi strumenti vengono usati tipicamente in modo non trasparente. Non sono chiari, al momento della decisione, gli effetti di medio periodo che dovrebbero scoraggiarne l’uso. La mancanza di una valutazione indipendente e di un monitoraggio severo da parte dei media contribuisce ulteriormente alla loro opacità.
Queste problematiche non sono esclusivamente legate alla politica economica, ma riguardano tanti altri aspetti della vita democratica, come l’ambiente, l’urbanistica, ecc.[2]
L’invecchiamento della popolazione accentua il problema perché accresce il costo che viene scaricato sulle future generazioni, che non sono rappresentate nelle istanze democratiche. Il concetto di “no-taxation without representation” che ha dato nascita alle democrazie liberali rischia di essere violato.
La tesi che vorrei sostenere è che il processo di invecchiamento della popolazione, in atto nella gran parte dei paesi europei, richiede di porre maggiore attenzione alla necessità di assicurare una adeguata rappresentatività democratica agli interessi inter-generazionali. Questo proposito può essere attuato rafforzando i limiti alla discrezionalità decisionale delle istituzioni democratiche.
La tassa dell’inflazione
La politica monetaria incide sulle scelte intertemporali degli operatori attraverso il tasso d’interesse. Una politica monetaria espansiva, che riduce il tasso d’interesse in termini reali, induce gli operatori ad anticipare le spese di consumo e d’investimento, finanziandole in particolare attraverso l’indebitamento. Nel tempo questo tipo di politica tende ad aumentare l’inflazione, penalizzando i risparmiatori e chi non è stato in grado di anticipare correttamente l’aumento dei prezzi - tipicamente le classi meno abbienti.
Variazioni non anticipate dell’inflazione possono determinare forti redistribuzioni di reddito tra generazioni e, all’interno di ogni generazione, tra i creditori e i debitori. Tale redistribuzione è, al contempo, poco trasparente e non democratica, perché viene a operare in una fase successiva a quando è stata presa la decisione, senza che chi ne subisce le conseguenze ne sia stato informato o abbia potuto esprimere la sua opinione.
Secondo alcuni calcoli, l’inflazione registrata in Italia negli anni Settanta ha comportato una redistribuzione a favore del settore pubblico e delle imprese e a sfavore delle famiglie, riducendo il potere d’acquisto di queste ultime per circa il 3,8 per cento del consumo totale.[3]
L’esperienza inflazionistica degli anni 1970 e 1980 e l’analisi economica hanno spinto i governi a separare la gestione della politica monetaria dalle altre politiche economiche, più legate al ciclo politico-elettorale.[4] In tutti i paesi industriali, la politica monetaria viene oramai decisa da Banche centrali indipendenti, che hanno come obbiettivo prioritario la stabilità dei prezzi. Questo consente sostanzialmente di evitare che la tassa dell’inflazione venga usata per ridistribuire risorse tra generazioni e tra categorie sociali.
Le Banche centrali devono comunque rendere conto del loro operato e di come contribuiscono a salvaguardare l’interesse generale. L’interesse generale viene rappresentato non da una istituzione democratica ma da un mandato specifico a una autorità indipendente, soggetta all’obbligo di rendere conto del proprio operato.
Il debito pubblico
La politica di bilancio è una competenza che tipicamente spetta all’autorità politica direttamente rappresentativa della volontà popolare, ossia il Parlamento e il Governo. Tale politica può però avere effetti redistributivi molto rilevanti tra generazioni. Il debito pubblico, in particolare, sposta sulle future generazioni - che non sono (ancora) rappresentate nelle istituzioni - l’onere di finanziare spesa pubblica in eccesso alle entrate fiscali. [5]
L’effetto negativo per le future generazioni può essere, in parte, compensato dai benefici che queste possono eventualmente trarre dalla maggior spesa pubblica passata (ad esempio se buona parte della spesa è in investimenti redditizi). Inoltre, se la popolazione cresce l’onere del rimborso del debito può essere distribuito su un numero crescente di persone. L’effetto di compensazione si riduce però se, come è oramai il caso nella maggior parte dei paesi industriali, il livello della spesa pubblica sul Prodotto lordo è già molto elevato e se la popolazione invecchia. L’aumento del debito pubblico comporta un forte aggravio per le generazioni future soprattutto nei paesi dove il livello stesso del debito è già alto.
L’esempio dell’Italia degli anni Ottanta è emblematico. Nel 1980 il debito pubblico rappresentava circa il 57 per cento del prodotto interno lordo. Nel 1994, in poco più di dieci anni, il debito pubblico è più che raddoppiato, salendo al 121,5 per cento del Pil. Secondo un calcolo della Commissione Europea, per riportare il debito pubblico al livello del 60 per cento entro i prossimi 45 anni sarà necessario registrare ogni anno un avanzo di bilancio strutturale pari al 3 per cento del Pil.[6] Questo significa che la politica di finanza pubblica messa in atto dai governi e dai parlamenti democraticamente eletti negli anni Ottanta ha scaricato sul cittadino italiano medio oneri aggiuntivi (in tasse più alte o prestazioni inferiori dello Stato) fino a 1000 euro all’anno, dalla metà degli anni 1990 e per i prossimi 45 anni. Ci si può chiedere se la spesa pubblica effettuata in quegli anni, in infrastrutture, sanità, istruzione, sicurezza, ecc, abbia effettivamente prodotto degli effetti duraturi nel tempo tali da compensare il maggior onere che dovrà essere sopportato dai cittadini italiani per i prossimi decenni.
Un ulteriore problema legato alla spesa pubblica finanziata con debito, al quale ho già accennato prima, riguarda la difficoltà politica di ridurla, dopo che è stata aumentata. Come è difficile togliere un privilegio, una volta accordato, anche ingiustamente, risulta difficile, per chi ha tratto beneficio della maggior spesa pubblica, rinunciarvi perché non è sostenibile dal punto di vista finanziario. Ad esempio, il disavanzo del bilancio pubblico italiano nel 2006 è in larga parte dovuto all’aumento della spesa pubblica primaria (al netto degli interessi), registrato dal 2000 in poi, pari a 3 punti percentuali rispetto al Pil (dal 41 per cento del Prodotto lordo al 44), che non è stato finanziato da un analogo aumento della pressione fiscale. Ritornare al livello della spesa pubblica del 2000, che è finanziariamente sostenibile, richiederebbe l’eliminazione di quei benefici che sono stati dati in questi anni. Questo viene però considerato, in gergo, una “macelleria sociale”, come se nel 2000 ci si trovasse in una situazione socialmente degradata.
In politica economica, così come in medicina, è meglio prevenire che curare. Dato che è difficile rinunciare ai “diritti acquisiti”, anche quando questi non hanno copertura finanziaria, è preferibile dotarsi di vincoli di bilancio che impediscano ex-ante l’attuazione di politiche di aumento della spesa senza un adeguato finanziamento e l’ accumulazione di debito pubblico.
Il Trattato di Maastricht mira proprio ad imporre un vincolo al disavanzo pubblico, pari al 3 per cento del Prodotto lordo e un obbligo di riduzione del debito, a un ritmo soddisfacente, quando questo supera una determinata soglia. Questo vincolo è necessario non solo per la partecipazione a un’area monetaria integrata, come quella dell’euro, ma è anche e soprattutto un vincolo di buongoverno, per evitare che venga scaricato sulle generazioni successive l’onere di politiche finanziarie dissestate, come quelle degli anni 1980.
I trattamenti pensionistici
L’invecchiamento della popolazione mette a rischio la sostenibilità finanziaria e politica dei sistemi pensionistici. Con l'allungamento della vita media e la riduzione della natalità, il finanziamento dei sistemi pensionistici può essere garantito solo in tre modi: i) riducendo le prestazioni di chi va in pensione, oppure; ii) aumentando i contributi nel periodo lavorativo oppure; iii) allungando la vita lavorativa.[7]
In molti paesi avanzati le istituzioni, democraticamente rappresentative, non hanno ancora preso una di queste tre decisioni, il che significa che il costo dei sistemi pensionistici viene scaricato sulle future generazioni, attraverso il debito. Questo sistema è sostenibile fin quando la popolazione aumenta. L’onere di finanziare la pensione più lunga e più generosa dei padri ricade sui figli, che finora erano più numerosi dei padri. Con il calo della natalità si è spezzato l’equilibrio finanziario di questo meccanismo. L’unico modo di pagare le pensioni sempre più lunghe dei padri è di aumentare i contributi, cioè le tasse, dei figli.[8]
Questo è quanto si prospetta per gli anni a venire, in molti paesi europei. Da qui al 2050, in assenza di riforme dei sistemi pensionistici, le entrate fiscali dovranno aumentare del 2,9 per cento del Pil in Germania, del 4,3 per cento in Francia, e dell’1,3 per cento in Italia – questo in assenza di ulteriori marcati incrementi della vita media.[9]
L’aumento dei contributi e delle tasse sulle nuove generazioni produce una serie di distorsioni economiche, come l’aumento del costo del lavoro e la precarietà dei contratti.
Il recente deterioramento della situazione occupazionale giovanile nei paesi avanzati è in parte da attribuire alla sperequazione degli oneri contributivi che nasce dalla mancata volontà di adeguare, per ogni generazione, gli oneri ai benefici pensionistici. I “diritti acquisiti” dei padri vengono pagati dai salari più bassi e meno sicuri dei figli. Non è un caso che nei paesi dove il sistema pensionistico è stato riformato in modo equo tra generazioni, non ci sono problemi di occupazione giovanile.
Non esistono ancora, nella maggior parte dei paesi, vincoli costituzionali che leghino, in modo quasi automatico per ogni generazione, l’età lavorativa e i trattamenti pensionistici ricevuti all’ammontare dei contributi versati e alla durata di vita media. Ad esempio questi meccanismi dovrebbero allungare in modo quasi automatico la durata della vita lavorativa alla durata della vita media. Le tensioni sociali e finanziare che inevitabilmente emergeranno nei prossimi anni, per effetto degli squilibri dei sistemi pensionistici, potrebbero indurre ad adottare una qualche forma di regola costituzionale, simile a quello del Trattato di Maastricht, per regolamentare il finanziamento del sistema pensionistico.
Conclusione
Il processo di invecchiamento della popolazione e le tendenze demografiche in atto nei paesi avanzati pongono una nuova sfida ai meccanismi di rappresentanza democratica delle istituzioni responsabili della politica economica. La soluzione a queste sfide non è semplice, ma può richiedere l’attuazione di una serie di nuove regole costituzionali, che vincolino la discrezionalità decisionale. Sicuramente, mai come oggi è necessario che chi ha la responsabilità di rappresentare gli interessi comuni agisca affinché questi interessi vengano tutelati in modo duraturo nel tempo.
Tavola 1: PRINCIPALI VARIABILI DI POLITICA DI BILANCIO IN ITALIA, IN PERCENTUALE DEL PIL
Anno | Debito pubblico | Spesa primaria | Avanzo primario | Indebitamento netto | Pressione fiscale |
---|---|---|---|---|---|
% PIL | % PIL | % PIL | % PIL | % PIL | |
1970 | 37.4 | 30.5 | -1.6 | -3.2 | |
1971 | 42.0 | 32.5 | -2.9 | -4.7 | |
1972 | 48.2 | 34.0 | -4.8 | -6.9 | |
1973 | 50.3 | 32.6 | -4.1 | -6.4 | |
1974 | 50.2 | 31.5 | -3.5 | -6.2 | |
1975 | 55.7 | 35.7 | -6.7 | -10.2 | |
1976 | 54.7 | 34.0 | -3.9 | -7.8 | |
1977 | 54.8 | 34.1 | -2.6 | -6.9 | |
1978 | 59.9 | 36.1 | -3.3 | -8.4 | |
1979 | 59.3 | 35.7 | -3.2 | -8.2 | |
1980 | 56.9 | 36.7 | -3.1 | -8.4 | 31.9 |
1981 | 58.9 | 39.8 | -5.2 | -11.2 | 31.8 |
1982 | 63.6 | 40.2 | -4.1 | -11.1 | 34.7 |
1983 | 68.4 | 41.0 | -3.1 | -10.4 | 36.9 |
1984 | 74.4 | 41.3 | -3.5 | -11.4 | 35.6 |
1985 | 80.5 | 42.5 | -4.4 | -12.3 | 35.2 |
1986 | 84.5 | 42.3 | -3.1 | -11.4 | 35.8 |
1987 | 88.6 | 42.3 | -3.0 | -10.7 | 36.2 |
1988 | 90.5 | 42.3 | -2.7 | -10.4 | 37.3 |
1989 | 93.1 | 42.1 | -1.0 | -9.6 | 37.9 |
1990 | 94.7 | 43.2 | -1.6 | -10.7 | 39.0 |
1991 | 98.0 | 42.5 | 0.1 | -9.7 | 40.1 |
1992 | 105.2 | 41.5 | 1.9 | -9.2 | 42.6 |
1993 | 115.6 | 43.9 | 2.5 | -9.1 | 43.6 |
1994 | 121.5 | 42.5 | 1.8 | -8.8 | 41.5 |
1995 | 121.2 | 40.8 | 3.8 | -7.4 | 41.8 |
1996 | 120.6 | 40.8 | 4.3 | -6.9 | 42.3 |
1997 | 118.1 | 40.8 | 6.5 | -2.6 | 44.2 |
1998 | 114.9 | 40.9 | 5.1 | -2.8 | 42.9 |
1999 | 113.7 | 41.4 | 4.9 | -1.7 | 42.9 |
2000 | 109.2 | 40.8 | 4.4 | -1.9 | 42.2 |
2001 | 108.7 | 41.7 | 3.2 | -3.1 | 41.8 |
2002 | 105.5 | 41.7 | 2.7 | -2.9 | 41.2 |
2003 | 104.2 | 43.1 | 1.7 | -3.4 | 41.7 |
2004 | 103.8 | 43.0 | 1.3 | -3.4 | 41.0 |
2005 | 106.4 | 43.5 | 0.4 | -4.1 | 40.8 |
2006 | 107.4 | 43.5 | 0.5 | -4.1 | 40.9 |
2007 | 107.7 | 43.6 | 0.2 | -4.5 | 40.8 |
Fonte: Commissione Europea, base dati AMECO.
Tavola 2 SPESA PUBBLICA PER PENSIONI, SANITÁ, ISTRUZIONE E INDENNITÁ DI DISOCCUPAZIONE (2004-2050)
2000 | 2004 | 2005 | 2010 | 2020 | 2030 | 2040 | 2050 | |
Totale spesa collegata all’invecchiamento | 24,5 | 25,9 | 26,3 | 25,7 | 25,6 | 26,8 | 28,0 | 27,2 |
Spesa pensionistica | 13,8 | 14,3 | 14,4 | 14,2 | 14,1 | 15,1 | 15,9 | 14,7 |
Spesa sanitaria: scenario dinamico | 5,8 | 6,5 | 6,7 | 6,8 | 7,0 | 7,4 | 7,8 | 8,1 |
Spesa per istruzione | 4,6 | 4,7 | 4,8 | 4,4 | 4,2 | 4,0 | 4,0 | 4,1 |
Spesa per indennità di disoccupazione | 0,3 | 0,4 | 0,4 | 0,4 | 0,3 | 0,3 | 0,3 | 0,3 |
Assunzioni | ||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Tasso di crescita della produttività del lavoro | 0,4 | -0,5 | 1,2 | 1,7 | 1,7 | 1,7 | 1,7 | |
Tasso di crescita del PIL reale | 1,2 | 0,0 | 1,9 | 1,6 | 0,9 | 0,8 | 1,2 | |
Indice di dipendenza degli anziani | 31,2 | 31,9 | 33,9 | 39,4 | 48,0 | 62,1 | 67,4 |
Fonte: Commissione Europea (2006). The impact of ageing on public expenditure: projections for the EU25 Member States on pensions, health care, long-term care, education and unemployment transfers (2004-2050), rapporto preparato dall’Economic Policy Committee e dal DG ECFIN.
Tavola 3 SENSITIVITÁ DEL DEBITO PUBBLICO ALL’AVANZO PRIMARIO DEL 2009 (in percentuale del PIL)
2010 | 2015 | 2020 | 2030 | 2040 | 2050 | |
Avanzo primario al 2009 | Debito pubblico | |||||
---|---|---|---|---|---|---|
3,6 | 99,0 | 84,2 | 69,5 | 46,4 | 36,7 | 25,7 |
3,0 | 99,6 | 87,7 | 76,2 | 60,5 | 60,4 | 60,2 |
2,5 | 100,1 | 90,8 | 82,0 | 72,8 | 81,2 | 90,6 |
2,0 | 100,6 | 93,9 | 87,9 | 85,1 | 102,0 | 120,9 |
1,5 | 101,1 | 97,0 | 93,7 | 97,4 | 122,7 | 151,2 |
Fonte: Commissione Europea (2006). The impact of ageing on public expenditure: projections for the EU25 Member States on pensions, health care, long-term care, education and unemployment transfers (2004-2050), rapporto preparato dall’Economic Policy Committee e dal DG ECFIN.
Tavola 4: PROIEZIONI DEMOGRAFICHE PER ALCUNI PAESI EUROPEI
Popolazione Totale | Popolazione in etá lavorativa | Popolazione anziana (>65) | ||||
2004 | 2050 | 2004 | 2050 | 2004 | 2050 | |
Germania | 82.5 | 77.7 | 55.5 | 45.0 | 14.9 | 23.3 |
Francia | 59.9 | 65.1 | 39.0 | 37.4 | 9.8 | 17.4 |
Italia | 57.9 | 53.8 | 38.5 | 29.3 | 11.1 | 18.2 |
UE-15 | 382.7 | 388.3 | 255.1 | 221.3 | 65.2 | 114.2 |
Area Euro | 308.6 | 308.4 | 206.5 | 174.2 | 53.3 | 93.4 |
Nota: Dati in milioni di unitá. Fonte: Commissione Europea (2006). The impact of ageing on public expenditure: projections for the EU25 Member States on pensions, health care, long-term care, education and unemployment transfers (2004-2050), rapporto preparato dall’Economic Policy Committee e dal DG ECFIN.
Tavola 5: ETA’ DI COLLOCAMENTO A RIPOSO, UFFICIALE ED EFFETTIVA
Età di collocamento a riposo, ufficiale ed effettiva nei diversi Paesi | ||||
---|---|---|---|---|
Uomini | Donne | |||
effettiva | ufficiale | effettiva | ufficiale | |
Austria | 59.6 | 65 | 58.9 | 60 |
Belgio | 58.5 | 65 | 56.8 | 62 |
Danimarca | 65.3 | 67 | 62.1 | 67 |
Finlandia | 60.8 | 65 | 59.8 | 65 |
Francia | 59.3 | 60 | 59.4 | 60 |
Germania | 60.9 | 65 | 60.2 | 65 |
Grecia | 62.4 | 58 | 60.9 | 58 |
Irlanda | 65.2 | 66 | 66.2 | 66 |
Italia | 61.2 | 65 | 60.5 | 60 |
Lussemburgo | 59.8 | 65 | 59.8 | 65 |
Paesi Bassi | 61.0 | 65 | 59.1 | 65 |
Portogallo | 65.8 | 65 | 63.5 | 65 |
Spagna | 61.6 | 65 | 61.3 | 65 |
Svezia | 63.5 | 65 | 62.0 | 65 |
Regno Unito | 63.1 | 65 | 61.2 | 60 |
Stati Uniti | 65.0 | 65 | 62.9 | 65 |
Media EU-15 | 61.9 | 64.4 | 60.8 | 63.2 |
Fonte: OCSE.
Tavola 6: VOCI DI BILANCIO LEGATE ALL'INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE
Pensioni di vecchiaia e anzianità | Spesa sanitaria | Assistenza a lungo termine | Istruzione | Indennità di disoccupazione | Totale spese collegate all’invecchiamento | |
Francia | 1.9 | 2.4 | : | : | : | 4.3* |
Germania | 2.5 | 1.1 | : | -0.4 | -0.2 | 2.9* |
Italia | 0.5 | 0.9 | 0.4 | -0.4 | -0.1 | 1.3 |
Regno Unito | 1.8 | 1.5 | 0.6 | -0.1 | : | 3.7* |
Spagna | 6.9 | : | : | : | : | 6.9* |
Fonte: Commissione europea: Programmi di stabilità e di convergenza (PSC) aggiornati 2005/06.
* Dati incompleti: alcune voci di spesa non erano disponibili al momento della preparazione dei PSC.
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[1] Nella letteratura economica il principio di Brainard sostiene che la politica economica debba essere meno attivista in presenza di incertezza sul risultato finale di una data decisione. Si veda W. Brainard (1969), Uncertainty and the Effectiveness of Policy, American Economic Review 57, 411-425.
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[2] Si veda ad esempio H. P. Visser ‘T Hooft (1999): Justice to Future Generations and the Environment, Berlino: Springer.
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[3] Si veda la Tavola 2 a pagina 308 in A. Cukierman, K. Lennan e F. Papadia (1985): Inflation-induced redistributions via monetary assets in five European countries: 1974-198,. Commission of the European Communities, Directorate-General for Economic and Financial Affairs.
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[4] Si veda ad esempio A. Alesina e L. H. Summers (1993): Central bank independence and macroeconomic performance: some comparative evidence, Journal of Money, Credit and Banking, 25, 2. Gli autori dimostrano che l'indipendenza della banca centrale dal potere politico promuove la stabilità dei prezzi senza pregiudicare la crescita.
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[5] Si veda A. Alesina e R. Perotti (1995): The political economy of budget deficits, IMF Staff Papers 42, pp. 1-31
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[6] Si vedano le Tavole 1-3 in Appendice.
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[7] Si veda la Tavola 4 in Appendice.
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[8] Si vedano le proiezioni demografiche della Commissione Europea riportate nella Tavola 5. Ad esempio, tra il 2004 e il 2050 la popolazione italiana complessiva è prevista calare di 4 milioni, e quella in età lavorativa di oltre 8 milioni.
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[9] Si veda la Tavola 5 in Appendice.
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